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Gucci Osteria: come Bottura e Iacoviello reinterpretano la cucina italiana a Tokyo

Gucci Osteria a Tokyo, diretta da chef Antonio Iacoviello con Massimo Bottura, unisce alta cucina e moda. La sfida: reinventare la cucina italiana con ingredienti e tecniche giapponesi innovativi

di Gabriele Pasca
 
30 marzo 2024 | 12:13

Gucci Osteria: come Bottura e Iacoviello reinterpretano la cucina italiana a Tokyo

Gucci Osteria a Tokyo, diretta da chef Antonio Iacoviello con Massimo Bottura, unisce alta cucina e moda. La sfida: reinventare la cucina italiana con ingredienti e tecniche giapponesi innovativi

di Gabriele Pasca
30 marzo 2024 | 12:13
 

A Ginza, Chef Antonio Iacoviello, sotto l’egida di Massimo Bottura, mescola Italia e Giappone in piatti innovativi. Una fusione che crea una cucina coraggiosa, che rispetta la tradizione sfidandola a duello. Un viaggio che connette due culture e definisce un nuovo standard nell'alta cucina, proprio nel cuore di Tokyo.

Gucci Osteria: come Bottura e Iacoviello reinterpretano la cucina italiana a Tokyo

Massimo Bottura al Gucci Osteria di Tokyo (foto: milanofinanza.it)

È la patria dei cosmopoliti, Ginza, a Tokyo. Con quello scorrere del tempo che sembra dettato da un maestro del tè votato alla filtrazione del bello. Un concentrato di meraviglia, la sintesi perfettamente compiuta del vivere tra vetrine. Palazzi alti, più del grado massimo di inclinazione del collo, e tra loro, come un fratello più piccolo, quasi come un nuovo nato, un palazzo stretto e lungo, di pochi piani, damascato a fiori e ad un curioso gatto vestito di rosso.

Gucci Osteria a Tokyo: un tutt’uno con il quartiere Ginza

È in questo dedalo di porte, di chi le apre e di avventurieri del bello, che Gucci Osteria trova casa: un punto di incontro tra l'alta cucina e l'alta moda, tra il gusto per il raffinato e l'apprezzamento per l'unicità. Un calcolato abbraccio al lusso di Ginza che riflette un'ambizione non solo di appartenere ma di definire, di elevare l'esperienza del dining al di là del convenzionale, al di là del già visto. Un bastione del nuovo lusso, quello che va oltre la materia e tocca l'anima, dove il vero sfarzo è nell'atto comune di mangiare, seppur impareggiabile e irripetibile.

Gucci Osteria: come Bottura e Iacoviello reinterpretano la cucina italiana a Tokyo

Gucci Osteria a Tokyo

Una scelta, quella di Ginza, non solo azzeccata, ma inevitabile, una dichiarazione d'intenti che parla di ambizioni senza confini, di un lusso che è tanto nel luogo quanto nel piatto. All’interno, un tributo alla bellezza e alla sintesi, dove il verde non è solo colore ma un filo conduttore che guida attraverso stanze animate da pavimenti dipinti a mano, echi di un'epoca rinascimentale rivisitata con l'occhio ludico e audace di Gucci.

Bottura e Iacoviello alla conquista del Giappone con Gucci Osteria

Alla guida del progetto, un uomo che, anche complice la distanza che separa Modena da Tokyo, è diventato nel tempo un’idea. Forte. Anzi, fortissima. Parliamo ovviamente di Massimo Bottura che di Gucci Osteria, nel mondo, ne colleziona ben quattro. È lui che guida il lavoro di grande interesse che Chef Antonio Iacoviello e la sua brigata compiono ogni giorno per regalare a quest’angolo di Tokyo una ventata fresca di “nuova cucina italiana”. Attenzione, non “nouvelle”, anche se gli assunti paiono senz’altro definiti e nitidi, come nel famoso ‘72.

Gucci Osteria: come Bottura e Iacoviello reinterpretano la cucina italiana a Tokyo

Antonio Iacoviello, chef di Gucci Osteria di Tokyo

Nato in Campania, l’head chef Antonio Iacoviello continua a creare e a progettare grazie alla linfa che trae dalla sua terra d'origine. Un percorso, il suo, arricchito dall'esperienza nelle cucine di maestri come Alain Ducasse, René Redzepi, Ernesto Iaccarino e, ovviamente, Bottura, che lo ha portato a esplorare la profondità degli ingredienti stagionali giapponesi, abbracciando la tradizione culinaria italiana con una cura particolare per la tecnica della fermentazione.

Osteria Gucci: la cucina secondo Antonio Iacoviello

Una cucina italiana con tante influenze giapponesi. Cominciamo da qui. Come è nato il suo amore per la cucina? Quali sono stati i suoi primi passi in questo campo?
«Ho iniziato a cucinare da bambino, in parte per necessità, in parte per passione. Vivevo con i miei nonni e mia nonna gestiva un piccolo ristorante-trattoria a Roma. Così, già all'età di tre o quattro anni, cominciai ad aiutarla in cucina, a pulire le verdure e la carne. Queste prime esperienze mi hanno appassionato. Poi, visto che la scuola non mi entusiasmava particolarmente, ho deciso di continuare su questa strada. Mi considero fortunato e affamato: fortunato perché ho avuto l'opportunità di apprendere da grandi maestri; affamato perché non ho mai smesso di cercare di imparare. Ancora oggi, il mio desiderio di conoscenza mi porta a viaggiare in Giappone per apprendere sempre di più, a leggere moltissimo e a guardare video, perché la mia passione per scoprire cose nuove non conosce limiti».

Dopo numerose esperienze in Italia e in Europa, le si è presentata l'opportunità di trasferirsi a Tokyo con un nuovo progetto. A un certo punto Massimo Bottura, le ha proposto questa possibilità. Come ha reagito e quanto tempo le è occorso per accettare?
«Lavoravo alla Francescana quando Massimo mi chiese: "Antonio, vuoi andare a Tokyo?" Ci ho pensato per tre secondi e ho risposto di sì. Solo dopo mi sono chiesto: "Ma dov'è Tokyo?" Non ero mai stato in Asia, ma la propensione a immergermi in realtà sconosciute è sempre stata per me motivo di orgoglio e un vero e proprio valore aggiunto. Così, appena Massimo mi ha proposto di andare, ho accettato senza esitazioni. Siamo arrivati a Tokyo e il 28 ottobre 2021 abbiamo inaugurato il ristorante. Da allora, non ci siamo più fermati, e adesso sono passati più di due anni».

Gucci Osteria: come Bottura e Iacoviello reinterpretano la cucina italiana a Tokyo

La brigata di Gucci Osteria
 

Quali sono le principali sfide nel proporre una cucina italiana in Giappone?
«I giapponesi adorano la cucina italiana, così come tutto ciò che rappresenta lusso e qualità. Per me, replicare pedissequamente i piatti italiani non aveva senso. Ho quindi creato un mio stile, ispirato a quello di Massimo, reinterpretando i piatti italiani non tanto nel gusto quanto negli ingredienti. Ad esempio, prepariamo una carbonara senza guanciale, sostituendolo con la buccia di banana, o una cacciatora con l’ananas bruciato. La nostra non è la tipica cucina italiana; ci ispiriamo alla tradizione per reinventarla, attingendo soprattutto dalla mia memoria e dalla nostra cultura».

Mi raccontava del fatto che dedica molti giorni al mese alla ricerca e alla scoperta di nuovi prodotti…
«La conoscenza è fondamentale per innovare. Se aspiri a evolvere, devi avere una profonda comprensione della storia. Parto quindi dalla mia memoria e, assaggiando nuovi ingredienti - dei quali inizialmente ignoro nomi, stagionalità e sfumature di gusto - riesco a stabilire un collegamento con le mie esperienze passate. Per fare ciò, viaggio in lungo e in largo per il Giappone, incontrando diversi produttori. Alcuni di essi sono così piccoli che producono esclusivamente per il proprio consumo domestico. Cerco di stringere amicizia con loro per poter acquistare i loro prodotti unici, come lo Shio koji preparato da un anziano signore di 94 anni di Ishikawa. Questo ingrediente, per esempio, è eccezionale e cerco di introdurlo anche ai miei clienti, molti dei quali a Tokyo non sono a conoscenza dell'esistenza di piccoli produttori situati nel nord o nel sud del Giappone. È quindi anche una questione di scoperta e di diffusione culturale. Come dice Massimo, il ristorante è cultura. Oggi, frequentare un ristorante non significa solo mangiare, ma anche apprendere, quasi come visitare un museo. Noi contribuiamo a diffondere la cultura, facendo scoprire ai giapponesi i prodotti del loro territorio. Molti clienti rimangono sorpresi dal gusto dei miei piatti perché riesco a presentare ingredienti comuni, come la patata, in modi completamente nuovi per loro, trasformando l'esperienza in una vera e propria scoperta culturale».

Il suo piatto simbolo è diventato il Ramen…
«Un giorno alla Francescana, poco dopo che Massimo mi aveva annunciato che sarei andato a Tokyo, stavo riflettendo su un piatto da realizzare. Sono sempre stato molto legato alla mia famiglia, in particolare a mio padre, che purtroppo non è più con noi. Pensai quindi a unire due dei suoi piatti preferiti: gli spaghetti aglio, olio e peperoncino e la parmigiana di melanzane. In Giappone esiste una variante di ramen chiamata tantanmen, un ramen "secco" servito senza brodo, con i noodles e una base di pasta di sesamo. Partendo da questa idea, abbiamo creato una versione che incorpora gli spaghetti aglio, olio e peperoncino e elementi evocativi della parmigiana di melanzane. Interessante è il brodo, ottenuto da melanzane inizialmente ossidate e successivamente fermentate. Questo processo conferisce al piatto una forte scarica di umami. Nel piatto non aggiungiamo parmigiano, sale o olio, ma la sua essenza è palpabile. Abbiamo lanciato questo piatto il 28 ottobre, giorno dell'apertura del ristorante, e lo manteniamo ancora oggi nel nostro menu degustazione, proprio come il tortellino per Massimo».

Basandosi sulla sua ricerca e sullo studio quotidiano, ci dica due ingredienti italiani e due giapponesi che considera indispensabili nella sua cucina?
«È una scelta difficile, ma direi che due ingredienti fondamentali per me sono l'olio e il pomodoro. Ho scoperto una qualità eccezionale di pomodori anche in Giappone, tanto che ho creato un pacchero al pomodoro che abbiamo inserito persino nel menu dei dolci. Come italiano, ritengo che l'olio e la pasta (che considero un vero e proprio ingrediente) siano essenziali. Per quanto riguarda gli ingredienti giapponesi, scelgo di non utilizzare salsa di soia o miso perché credo che ci siano maestri giapponesi specializzati nell'uso di questi prodotti; quindi, preferisco lasciare a loro questa tradizione. Trovo che ridurre a uno solo gli ingredienti indispensabili sia limitativo anche per la cucina giapponese, quindi, generalizzando, direi che tanto il regno vegetale quanto quello ittico offrono prodotti incredibili».

Quali insegnamenti di Massimo Bottura le sono stati particolarmente utili qui a Tokyo?
«Massimo mi ha insegnato il valore del lavoro costante e dell'umiltà, soprattutto a proposito del fatto di non considerarmi mai "arrivato". Ogni giorno, mi alzo la mattina, vado al mercato con il mio chef e insieme esploriamo nuove idee, creiamo piatti in maniera collaborativa. Questa condivisione e il lavoro di squadra costituiscono il cuore pulsante del nostro ristorante. L'impegno incessante, la perseveranza e la consapevolezza che il raggiungimento di un traguardo, sia esso una stella Michelin o di più, rappresenti sempre un nuovo inizio, e non un punto di arrivo».

La sua cucina spiegata in poche righe…
«La mia cucina a Tokyo è autentica, genuina e semplice. Riflette le mie radici campane e si basa su ciò che personalmente apprezzo. Qui non troverete piatti dettati dalle mode o ingredienti inseriti solo perché sono popolari. Tutto ciò che propongo è frutto di una scelta personale, mirata a offrire quello che considero l'essenza della nuova cucina italiana».

Gucci  Osteria Tokyo 
6 6 12 - Ginza Chuo-ku  - 104 0061 Tokyo (Giappone)
Tel 03 6264 6606

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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